Calano le rinnovabili in Italia, lontani gli obiettivi 2030

Il rapporto di Legambiente evidenzia una stasi generale del settore, con un enorme calo anche dei posti di lavoro.

Dopo 12 anni di crescita, la produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia è in calo, con una riduzione generale del contributo e una stasi degli investimenti nel settore. È quanto rileva il rapporto di Legambiente “Comuni rinnovabili 2019”, che offre un amaro resoconto sullo sviluppo “praticamente fermo” delle rinnovabili nel Paese. Il calo maggiore è stato registrato nel solare, nell’eolico e nelle bioenergie.

L’estrema lentezza del processo di innovazione e la crescita minima delle installazioni indicano un quadro deludente, con valori del tutto inadeguati rispetto agli obiettivi europei sul clima. Rientrare nell’Accordo di Parigi, che prevede la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030, con certe premesse risulta un obiettivo lontanissimo.

Eppure sono circa un milione gli impianti elettrici e termici installati in tutta la Penisola. Tra fotovoltaico, solare termico, mini idroelettrico eolico, bioenergie e geotermia distribuiti sul territorio sono 3.054 i comuni diventati autosufficienti per i fabbisogni elettrici, 50 per quelli elettrici e 41 le realtà rinnovabili al 100% per tutti i fabbisogni. Ma i ritmi di crescita delle rinnovabili evidenziano un trend in calo che non accenna a cambiare.

Le ragioni sono da ricercare soprattutto nella scarsità di incentivi a sostegno degli investimenti, nella mancanza di autorizzazioni per i progetti nei territori, nella perdita di efficienza di vecchi impianti che non vengono rimpiazzati. E i dati sono preoccupanti non solo a fronte dei cambiamenti climatici, ma anche in termini di posti di lavoro, che dal 2011 sono diminuiti significativamente, passando da 125.400 a 80.000 circa. Come confermano diversi studi inerenti, rientrare nella direttiva europea in un percorso diretto verso la decarbonizzazione e rilanciare subito gli investimenti nel settore porterebbe al Paese benefici pari a 5,5 miliardi di euro l’anno, nonché la creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro. Si tratta di scelte concrete da compiere per Governo e Parlamento, che al più presto devono impegnarsi per invertire la rotta.

Articolo di Erika del 14 Maggio 2019 alle ore 20:01

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