Nascita di un temporale estivo

La scorsa volta abbiamo illustrato i meccanismi alla base dell’instabilità convettiva, che spiegano la maggior parte dei fenomeni precipitativi estivi dal semplice temporale al tornado. Ma come si forma un temporale? Gli ingredienti sono sempre i soliti: vento, umidità, temperatura, che combinandosi in diverse proporzioni determinano una varietà incredibile di possibili risultati.

L’instabilità convettiva, come abbiamo visto in precedenza, è il fenomeno alla base della maggior parte della precipitazione nella bella stagione. Essa causa lo spostamento verso l’alto di porzioni (“bolle”) di atmosfera che, analogamente alle bollicine di gas nella Coca-Cola, salgono per galleggiamento. L’atmosfera però contiene vapore acqueo che, all’espandersi e raffreddarsi della bolla in risalita, condensa e dà luogo a minuscole goccioline d’acqua. La condensazione del vapore rilascia calore, che amplifica il galleggiamento, consentendo quindi alla bolla di raggiungere un’altezza maggiore.

L’instabilità convettiva è alla base della formazione dei cumuli di bel tempo (in foto sotto) così come dei temporali estivi. A causare il galleggiamento iniziale è la radiazione solare, che riscalda direttamente il suolo e indirettamente lo strato d’atmosfera a contatto con esso. A determinare il risultato finale, cioè se verrà a formarsi un semplice cumulo, un temporale o persino una supercella, è un complesso mix di condizioni che includono l’umidità e la temperatura attraverso l’intera colonna d’aria, dal suolo fino al confine con la stratosfera.

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Cumuli di bel tempo.

Il fattore più importante è forse la temperatura della colonna d’aria. Quando questa è troppo elevata, specialmente a quote medio-alte (3000-8000 m), come capita durante certe ondate di caldo di origine africana, l’instabilità convettiva viene in gran parte inibita. Naturalmente anche in un caso del genere il sole riscalda il suolo e delle bolle di piccole dimensioni si formano ed iniziano a salire ma, incontrando aria molto calda, si fermano dopo poche centinaia di metri perché il galleggiamento viene meno. Se l’umidità dei bassi strati è sufficientemente elevata, si formano dei cumuli di bel tempo; altrimenti, la convezione si arresta ancor prima che il vapore condensi e il cielo rimane sereno.

Il contrario avviene quando l’atmosfera a quote medio-alte subisce un raffreddamento consistente: ad esempio, con l’arrivo di una saccatura dopo un’ondata di caldo. In questi casi, l’aria calda degli strati medio-bassi inibisce lo sviluppo di intensa convezione, mentre quella fredda soprastante lo favorisce. Se le bolle salgono a sufficienza, superando lo strato sfavorevole e incontrando aria molto più fredda, il loro galleggiamento si fa intenso ed esse possono raggiungere quote molto elevate, fino al confine con la stratosfera (vedi foto qui sotto). La convezione in questo caso può assumere carattere esplosivo.

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Nube temporalesca. Dal confronto con le altre nubi in foto si intuisce l’altezza molto maggiore raggiunta dalla convezione.

Anche l’umidità gioca un ruolo determinante: l’arrivo di una saccatura ha conseguenze molto diverse sull’Italia settentrionale o sul deserto del Sahara. Quanto più elevata è l’umidità nei bassi strati, tante più goccioline si possono formare per condensazione. Le goccioline così formate possono poi subire numerose trasformazioni: crescita per la condensazione di ulteriore vapore su di esse; inglobamento di goccioline più piccole; collisione con altre goccioline (questo può dar luogo ad una rottura o all’adesione le une con le altre); congelamento, qualora esse siano esposte a temperature sufficientemente basse, e così via. I numerosi processi fisici (più precisamente, microfisici) che coinvolgono le goccioline di nube sono estremamente complessi e ancora non del tutto compresi.

Infine, per finalizzarsi in un temporale, la convezione dev’essere “organizzata”. Una singola bolla d’aria può dar luogo al massimo a un cumulo di bel tempo, mentre occorre un’azione sinergica di più bolle le quali, salendo con energia e continuità, trasportano grandi quantità di vapore verso l’alto. Più a lungo le goccioline rimangono sospese nell’aria, più è alta la probabilità che crescano in diametro e diventino sufficientemente grandi perché il loro peso vinca sul movimento ascensionale della bolla ed esse precipitino sotto forma di gocce di pioggia.

Perché addirittura si formi la grandine occorre che la convezione sia molto intensa, con velocità di ascensione delle bolle di alcuni metri al secondo, spingendo così le goccioline molto in alto, dove ghiacciano rapidamente e danno luogo ai primi chicchi. La dimensione finale dei chicchi di grandine dipende poi dalla durata della convezione: quanto più a lungo essi permangono in atmosfera, più cresceranno in diametro durante numerosi cicli di ascensione (grazie a una bolla) e precipitazione (per gravità).

Articolo di Enrico Di Muzio del 13 Maggio 2018 alle ore 18:58

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