Crisi climatica e USA: possibile una totale inversione di rotta con Biden?

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Il presidente eletto parte con piani ambiziosi in materia climatica e ambientale, in totale contrasto con la politica di Trump. Ma quante di queste iniziative potranno essere attuate?

Soltanto nel 2017 gli Stati Uniti annunciavano l’intenzione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi sul clima, coerentemente con lo spirito negazionista dell’ex presidente Donald Trump, il quale aveva definito i cambiamenti climatici “una bufala”. Con l’amministrazione di Joe Biden, però, la sorte delle questioni ambientali in Usa potrebbe cambiare fino ad una quasi totale inversione di rotta, o almeno è quanto previsto dai piani climatici del nuovo presidente eletto.

La decisione di rientrare nell’Accordo di Parigi “in 77 giorni esatti”, come ha twittato Biden, potrebbe infatti non essere così semplice. La notifica formale del ritiro degli Usa dall’accordo in realtà è giunta alle Nazioni Unite soltanto l’anno scorso, per via della complessità del protocollo, a cui ha seguito un preavviso di 12 mesi, arrivando alla conclusione ufficiale soltanto pochi giorni fa. Ciò potrebbe rappresentare un ostacolo per gli ambiziosi piani del nuovo governo, che si dichiara incentrato sulla questione ambientale e climatica, sulla quale dovrebbe fondarsi principalmente la nuova politica economica e sociale.

Decarbonizzazione e politiche anti-Trump

Tra i primi provvedimenti previsti dalla nuova amministrazione ci sarà sicuramente un cambio radicale nell’approccio al clima e all’energia, capovolgendo almeno in parte i provvedimenti di Trump per una progressiva deregolamentazione e apertura di nuove aree per le trivellazioni sui terreni federali. Biden ha in programma una lunga lista di direttive in contrasto con gli ordini esecutivi del suo predecessore, soprattutto riguardo alle emissioni di metano, la decarbonizzazione degli edifici e dei veicoli e l’istituzione di un organo per la giustizia climatica all’interno del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Il settore dell’energia pulita dovrebbe trovare grande spazio, insieme alla riduzione del sostegno ai combustibili fossili, l’interruzione delle concessioni per le trivellazioni e a piani per la riduzione delle emissioni nocive. Con molta probabilità, l’amministrazione Biden si orienterà verso la creazione di nuovi posti di lavoro nelle energie rinnovabili e nello sviluppo di tecnologie verdi piuttosto che nei combustibili fossili, finora fortemente favoriti. Ne è un segnale la promessa del presidente di investire 2.200 miliardi di dollari per decarbonizzare la generazione elettrica USA entro il 2035.

Standard rigidi sulle emissioni, ma resta il fracking

Nel quadro delle maggiori priorità di Biden, ovvero la lotta alla pandemia e ai cambiamenti climatici, ci si aspetta una nuova regolamentazione per stabilire standard più ambiziosi nelle emissioni, che dovrebbe procedere a pari passo con l’incremento di misure di protezione e finanziamenti in risposta ai disastri. Più controversa è la questione del fracking – la fratturazione idraulica della superficie terrestre che negli ultimi anni ha contribuito ad una crescita esponenziale delle estrazioni di petrolio e gas negli Usa – la cui limitazione non sembra in programma,sebbene il suo impatto ambientale sia a dir poco nocivo.

Se il fracking non sarà vietato, è possibile che ci sarà però una spinta del gas naturale, la meno dannosa delle fonti fossili. Ma quella del fracking resta una questione delicata nel contesto della decarbonizzazione, che avrebbe comunque un impatto significativo nella transizione energetica e su cui si basa talvolta l’economia di interi stati.

Carbon tax e Defense Production Act

Un altro aspetto da chiarire sui piani di Biden sarebbe il via libera alle rinnovabili, ma non alla carbon tax. Le ultime rilevazioni suggeriscono che gli americani sono per gran parte a favore degli incentivi per l’energia verde e delle agevolazioni fiscali per le utility che riducano le emissioni di gas serra, ma soltanto una minima parte si mostra favorevole alla tassa sulle emissioni di Co2, sebbene la maggior parte dei votanti si rivela comunque a sostegno di standard più aggressivi. In termini elettorali, la bocciatura della carbon tax nella campagna di Biden si è rivelata una scelta giusta, ma nel contesto dei cambiamenti climatici sarebbe una delle scelte più efficaci per affrontare la crisi.

Senza la carbon tax come deterrente per i grandi emettitori di Co2 sembrerebbe comunque essere in gioco l’idea di un’azione presidenziale potenzialmente “estrema” per salvare l’economia nel contesto dell’emergenza climatica, ovvero il possibile ricorso al Defense Production Act – citato espressamente da Biden. Quest’ultimo riguarda la legge sulla produzione in tempi di guerra, che consentirebbe di mobilitare risorse a favore di determinate azioni e, potenzialmente, di non dover attendere il sigillo del Congresso, nel caso di una situazione di stallo al Senato. 

Resta da vedere quante iniziative ambiziose del presidente più votato nella storia degli Stati Uniti andranno effettivamente in porto, questione sulla quale avrà ulteriore influenza l’esito dei ballottaggi di gennaio, che stabiliranno se il partito repubblicano avrà la maggioranza in Senato. Indubbiamente, però, l’entrata in carica di Biden potrebbe segnare per la prima volta un’importante svolta in favore del clima e dell’energia, in totale contrasto con la visione del presidente uscente.

Articolo di Erika del 10 Novembre 2020 alle ore 11:02

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