Tempo di lettura: 2 minuti.
La Nuova Zelanda è il paese con più possibilità di sopravvivere al crollo della civiltà globale e probabilmente il più resiliente alle minacce future. A dirlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista Sustainability condotto dai ricercatori Nick King e Aled Jones del Global Sustainability Institute dell’Anglia Ruskin University (ARU), che ha esaminato la “de-complessificazione”, ovvero l’inversione diffusa delle tendenze della società odierna, nello scenario di un crollo futuro delle catene di approvvigionamento, degli accordi internazionali e delle strutture finanziarie globali.
In un mondo in declino il cambiamento climatico rappresenterebbe un “moltiplicatore di rischio”, unito alla combinazione di distruzione ecologica, impoverimento delle risorse e crescita della popolazione, fattori in grado di innescare una riduzione della complessità della civiltà. Ciò potrebbe verificarsi in un lasso di tempo variabile, che va da decenni a pochi anni, o addirittura a meno di un anno. Gli esperti lasciano aperta ogni ipotesi, persino quella di un brusco declino guidato da una serie di circuiti di feedback, dove gli effetti sarebbero amplificati dalla crescente interdipendenza dell’economia globalizzata.
Secondo lo studio, ad oggi è possibile identificare 5 paesi caratterizzati dalle condizioni più favorevoli per sopravvivere al collasso globale, in base all’autosufficienza in termini di energia e infrastrutture produttive, suolo disponibile e densità abitativa, caratteristiche geografiche. La Nuova Zelanda, insieme a Islanda, Regno Unito, Irlanda e Australia – in particolare la Tasmania – sarebbero i candidati migliori, con maggiori chance di mantenere livelli più elevati di complessità sociale, tecnologica e organizzativa all’interno dei propri confini.
Analizzandoli nel dettaglio, tutti e cinque sono stati o continenti insulari, con una forte influenza climatica oceanica. Attualmente risentono in modo meno marcato della variabilità delle temperature e delle precipitazioni e hanno quindi maggiori probabilità di preservare condizioni climatiche relativamente stabili, nonostante il crescente riscaldamento globale.
La Nuova Zelanda in particolare avrebbe il maggiore potenziale per “sfuggire” alla crisi grazie all’autosufficienza geotermica e idroelettrica, agli abbondanti terreni a disposizione e alla bassa popolazione. Sul filo del rasoio invece il Regno Unito, che rispetto agli altri candidati presenta un quadro più complesso a causa del complicato mix energetico e dell’elevata densità abitativa.
“Cambiamenti significativi sono possibili nei prossimi anni e decenni”, ha affermato Aled Jones, direttore del Global Sustainability Institute presso l’ARU. “L’impatto dei cambiamenti climatici, tra cui l’aumento della frequenza e dell’intensità di siccità e inondazioni, temperature estreme e un maggiore spostamento della popolazione, potrebbe determinare la gravità di questi cambiamenti”.
Oltre a eleggere i paesi più adatti a gestire un simile collasso, spiega Jones, lo studio mira in particolare ad evidenziare le azioni necessarie per affrontare i fattori interconnessi del cambiamento climatico, dell’energia, della capacità agricola e della dipendenza dalla complessità, per puntare a migliorare la resilienza delle nazioni che oggi non hanno condizioni di partenza favorevoli.
Località | T°C |
---|
Località | T°C |
---|
Località | T°C |
---|
Località | T°C |
---|