Coronavirus: più letale al Nord Italia a causa dell’inquinamento atmosferico

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Uno studio di ricercatori italiani e danesi evidenzia la correlazione tra l’inquinamento atmosferico e l’elevato tasso di mortalità in Lombardia ed Emilia Romagna, dove i decessi costituiscono più della metà del totale registrato in Italia.

La disomogeneità della diffusione del coronavirus in Italia potrebbe aver trovato una spiegazione nel nuovo studio pubblicato su Environmental Pollution, a cui hanno partecipato i ricercatori italiani dell’Università di Siena insieme alla Aarhus University della Danimarca. Sembra infatti che la letalità del Covid-19 – il rapporto tra contagi e decessi – abbia una correlazione con l’inquinamento atmosferico, motivo che ha favorito il rapido sviluppo di condizioni critiche al nord Italia, soprattutto in Lombardia e Emilia Romagna, piuttosto che al sud.

Lo studio ha analizzato i possibili legami tra l’inquinamento atmosferico e il tasso di mortalità nelle regioni più colpite, per comprendere se le condizioni iniziali delle popolazioni in questione potessero essere un ulteriore fattore a favore della maggiore letalità registrata. Sulla base dei dati della Protezione civile italiana, la letalità registrata in Lombardia e Emilia Romagna al 21 marzo era del 12%, mentre nel resto d’Italia era del 4,5%. Si tratta di dati in continua evoluzione e soggetti a lieve variabilità, ma la media del paese registrata dall’Istituto superiore della sanità (11,8% al 2 aprile) resta in generale marcatamente superiore rispetto alla media europea (7,5%) e mondiale (5,4%), con il contributo maggiore fornito dalla Lombardia (8.905 decessi al 5 aprile) e l’Emilia Romagna (2.051), su un totale di 15.887.

Come intuibile dalle immagini satellitari che hanno mostrato un drastico calo dell’inquinamento atmosferico dopo il lockdown, l’area che copre la Lombardia e l’Emilia Romagna è di fatto la più inquinata d’Italia, nonché una delle più inquinate d’Europa, secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, che si basano sulle concentrazioni di PM10, PM2.5, O3, SO2 e NO2. Nonostante il lieve miglioramento della qualità dell’aria registrato negli ultimi anni, le emissioni nocive provenienti dal nord del nostro paese coprono ancora una grossa fetta del totale delle concentrazioni in Europa. E ciò ha un ruolo significativo sugli effetti della pandemia, secondo i ricercatori.

Finora, i fattori considerati per il rilevamento di contagi e deceduti erano principalmente l’età e le patologie pregresse nei pazienti, evidenzia Dario Caro, principale autore dello studio. Lo stato di salute delle popolazioni in questione, però, è anche determinato dal livello di inquinamento atmosferico, fa notare. “Ci siamo quindi chiesti da quali e quante malattie pregresse fossero affette le popolazioni che hanno sempre vissuto in quelle aree e se queste malattie pregresse potessero avere avuto un ruolo nell’alta letalità”.

Alle origini di questa correlazione c’è un dato fondamentale: la maggiore predisposizione anche nei soggetti sani agli effetti della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), ovvero lo sviluppo di una polmonite grave, che è la principale causa di decesso nel Covid-19. Questo perché le persone sottoposte ad alti livelli di inquinamento atmosferico sono soggette ad una maggiore produzione di citochine infiammatorie, degli indicatori cellulari che normalmente servono a neutralizzare virus e batteri, ma che al contempo possono innescare una grave risposta infiammatoria a danno dei polmoni stessi. L’elevata presenza di citochine infiammatorie nei soggetti esposti a questo inquinamento costituisce quindi un fattore principale nella maggiore letalità del Covid-19 nelle regioni italiane più critiche.

Articolo di Erika del 06 Aprile 2020 alle ore 16:17

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