Invasione di locuste in Africa, un fenomeno più vicino a noi di quanto si pensi

La catastrofe ha raggiunto la penisola arabica e l’Iran e potrebbe significare la fame per milioni di persone. Ma cosa abbiamo a che fare noi con questo?

La notizia della spaventosa invasione di locuste in Africa orientale non sembra aver attirato grossa attenzione in Europa, o almeno quella che merita, anzi ha raccolto perlopiù commenti in riferimento alla poca eccezionalità del fenomeno, caratteristico di alcune zone colpite (a intervalli di diversi decenni). Si può dire che le piaghe bibliche siano l’unica cosa che ci rende familiare questo disastro, a meno che non ci siamo trovati fisicamente in una delle regioni interessate dallo scorso ottobre in poi. In tal caso, avremmo un’idea di ciò che sta davvero accadendo nel Corno d’Africa e che si sta espandendo fino alla penisola arabica e l’Iran.

Già ad ottobre gli insetti avevano iniziato ad invadere la Somalia, arrivando poi a coprire Kenya, Etiopia ed Eritrea. Come suggeriva l’Onu con l’allarme lanciato a novembre, gli enormi sciami di insetti – grandi fino a 2.400 chilometri – hanno poi interessato l’intera fascia orientale del continente, dal Mozambico all’Egitto, passando per la Tanzania, l’Uganda, il Sud Sudan e il Sudan, fino a raggiungere la penisola arabica, l’Iran e la pianura del Punjab.

Prima di diventare ufficialmente tragedia, l’evento ha dovuto espandersi in maniera significativa, dato che a subire la calamità sono soprattutto contadini, per giunta in luoghi piuttosto emarginati dalla copertura mediatica. Ma la catastrofe che sta colpendo queste regioni da mesi potrebbe essere tra le più drammatiche della storia moderna. Gli sciami di Schistocerca gregaria arrivano a comprendere fino a 200 miliardi di esemplari, che sono in grado di divorare circa 2 milioni di tonnellate di vegetazione al giorno, radendo al suolo il sostentamento di milioni di persone.

Interi campi sono stati devastati dalla fame di questi insetti migratori, che continuano a moltiplicarsi lungo tutto il Mar Rosso e che, secondo le stime, in primavera potrebbero aumentare di 500 volte. La distruzione dei raccolti sta mettendo a dura prova la sicurezza alimentare delle popolazioni locali, dove ancora milioni di bambini soffrono di gravi forme di malnutrizione. Ma i numeri sulla situazione alimentare futura sono ancora incerti e strettamente legati all’evoluzione climatica che avverrà nei prossimi mesi.

Scientificamente, non è ancora spiegabile la natura della spaventosa invasione. Questo perché non esistono dati affidabili sulle dimensioni di simili eventi passati. Pertanto, non possiamo affermare con certezza che si tratti di una catastrofe senza precedenti, ma bisogna precisare che diversi studi passati avevano previsto l’eventualità di una superfetazione (doppia fecondazione che causa una iper-riproduzione negli animali) delle cavallette in Africa orientale, come un probabile effetto del cambiamento climatico.

Oltre ad un possibile legame con l’alterazione dei monsoni in India, la catastrofe potrebbe essere stata favorita dalle variazioni climatiche degli ultimi 20 anni nella zona, dove l’equilibrio tra stagione secca e umida è andato modificandosi man mano, lasciando spazio a lunghi periodi di siccità alternati a brevi periodi di piogge molto più violente.

Scienziati a parte, le alterazioni climatiche sono lampanti dal punto di vista dei contadini, che pur non essendo esperti, vivono in prima persona questo fenomeno e sostengono che vi sia un rapporto diretto tra l’invasione di cavallette e il clima “impazzito”.

Ma cosa abbiamo a che fare noi con tutto questo?

Non è impensabile che, come previsto per molte zone del mondo colpite da crescente carenza idrica, eventi meteorologici estremi, inondazioni e fame, un tale disastro possa indurre alla migrazione milioni di persone che, con ogni probabilità, si troverebbero costrette a bussare alle nostre porte. È ben noto ormai – o almeno dovrebbe – che tra gli effetti della crisi climatica sono compresi conflitti economici e ambientali, nonché significative migrazioni a causa di condizioni invivibili. Ma non essendo i protagonisti – per adesso – la nostra percezione resta quella di una tragedia troppo lontana da noi per pensare di avere qualcosa a che fare con le cavallette in Africa.

Ma se è vero quanto annunciato da numerosi studi sull’evoluzione della crisi climatica, le cose potrebbero cambiare per il mondo occidentale, stravolgendo i “ruoli” che per secoli abbiamo avuto nel mondo. L’ipotesi che noi stessi potremmo diventare migranti a causa del cambiamento climatico è più credibile di quanto si pensi, come del resto si stanno rivelando veritieri molti avvertimenti della comunità scientifica.

Articolo di Erika del 13 Febbraio 2020 alle ore 09:09

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