Acqua alta, cosa succede in Italia e negli altri paesi soggetti a inondazioni

Venezia non è certo l’unica città al mondo a rischio inondazione. Ma come hanno fatto altre città ad arginare il fenomeno ed evitare i danni legati alle mareggiate?

Per giorni Venezia ha vissuto momenti di grande preoccupazione a causa dell’acqua che ha raggiunto valori record, paragonabili all’alluvione che nel 1966 investì la laguna. L’acqua alta ha raggiunto i 187 centimetri, causando danni per centinaia di milioni di euro e una vittima sull’isola di Pellestrina. Ma mareggiate come quella che si è verificata in questi giorni non sono fenomeni imprevedibili per una città che fa parte delle zone più a rischio nel mondo per l’innalzamento del livello del mare. Come conferma uno studio di Climate Central pubblicato su Nature, il rischio di inondazione per Venezia, come per altre città – soprattutto Giacarta, Londra, Mumbai, Alessandria d’Egitto, Bassora, New Orleans e Bangkok, diventa sempre più alto con i cambiamenti climatici.

Ma mentre a Venezia l’enorme sistema di dighe mobili del Mose – che dovrebbe proteggere la laguna dalle maree – è al centro di un grave scandalo per corruzione e pertanto rimasto un’opera incompiuta, in altre città soggette a inondazioni sono state adottate soluzioni efficaci per arginare il fenomeno dell’acqua alta e ridurre al minimo i rischi legati ad esso.

L’esempio più eclatante di sistemi per la tutela dalle maree è l’Olanda, il cui territorio si trova per il 40% sotto il livello del mare e dove eventi di innalzamento del mare ad un livello potenzialmente allarmante si verificano con una certa frequenza, in media una volta l’anno. Ad impedire il passaggio dell’acqua alta c’è uno dei più innovativi e moderni sistemi di dighe al mondo, il Piano Delta, che entrando in funzione in previsione di condizioni pericolose, protegge le aree più a rischio, tra cui la capitale Amsterdam. Il Piano Delta è composto da 18.000 chilometri di dighe e dune e per la sua straordinarietà è diventato addirittura un’attrazione turistica. Oltre ad impedire le inondazioni, la diga è in grado di preservare la fauna e la flora con un sistema semi aperto e consentire l’accesso in mare aperto alle imbarcazioni.

Anche nel Regno Unito si è pensato a far fronte alle alte maree con la barriera di Thames, situata a Woolwich, che se attivata regola il flusso d’acqua del fiume Tamigi, disponendolo su diversi canali. Nell’arco di 30 anni, la barriera è stata attivata con una media sempre più alta – dalle 4 alle 14 volte l’anno, escluso il 2007, con il record nell’inverno 2013-2014 in cui le paratie sono state chiuse ben 28 volte. Non da meno è il sistema utilizzato nella città di San Pietroburgo, in Russia, dove una diga di 25 chilometri protegge dalle piene del fiume Neva ed è progettata per resistere fino a 5 metri d’acqua.

Dopo che l’uragano Katrina causò una devastante inondazione nel 2005, a New Orleans, situata sul Golfo del Messico e che per l’80% si trova sotto il livello del mare, si pensò bene di costruire un sistema di dighe e barriere lungo 560 chilometri, riducendo così il rischio di catastrofi simili. Anche in Giappone, dove il rischio di tsunami è particolarmente alto, si sta pensando a realizzare soluzioni che ne riducano al minimo i danni.

Secondo i dati di Climate Central, i rischi legati alle inondazioni riguardano circa 300 milioni di persone. Città come Venezia rischiano di essere sommerse a causa dell’innalzamento del livello del mare, che è strettamente legato al riscaldamento globale.

Articolo di Erika del 19 Novembre 2019 alle ore 17:00

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