E se misurassimo gli Uragani…usando i terremoti?

Uno studio uscito nel mese di febbraio propone una nuova interessante tecnica che molto probabilmente permetterà di estendere i dati storici riguardanti l’intensità dei cicloni tropicali (uragani, tifoni…) nel passato. L’idea sta nel sfruttare gli stessi strumenti che vengono da sempre utilizzati per misurare l’intensità dei terremoti. Ma in cosa consiste questa tecnica? 

I cicloni tropicali (altresì detti Uragani o Tifoni a seconda dell’area dove sono osservati) sono forse tra i fenomeni più distruttivi che l’atmosfera possa creare, secondi solo ai Tornado che si sviluppano però su scale estremamente più piccole.

I 3 cicloni tropicali Igor, Julia e Karl. Immagine satellitare acquisita il 16 settembre del 2010

I 3 cicloni tropicali Igor, Julia e Karl. Immagine satellitare acquisita il 16 settembre del 2010

Non è quindi difficile capire come gran parte degli studiosi cerchino di capire ormai da anni se tali fenomeni siano destinati ad aumentare o diminuire nel futuro in uno scenario di riscaldamento globale. Sfortunatamente la maggior parte dei modelli climatici che vengono usati per fare proiezioni non riescono a risolvere direttamente la formazione ed il mantenimento di cicloni tropicali, fallendo nel ricostruire la loro climatologia. D’altra parte le rilevazioni del passato sono limitate dalle osservazioni satellitari e si fermano quindi intorno agli anni ’80. 

Eppure alcuni studiosi statunitensi pensano di avere una possibile soluzione a questo problema, ovvero utilizzare dati provenienti da sismografi per ricostruire l’intensità dei cicloni tropicali nel passato. Sappiamo che i sismografi misurano, utilizzando sofisticati pendoli, movimenti del terreno. Tuttavia, quando non sono presenti veri e propri terremoti, il segnale è costituito dal cosiddetto “rumore di fondo” ovvero la sovrapposizione di diverse sorgenti che mettono in oscillazione il terreno quali strade trafficate, onde che si infrangono sulla costa, etc.

Un sismografo

Un sismografo

Da questa constatazione è quindi nata l’idea di questo studio: perché non usare proprio il “rumore di fondo” per estrarre dati relativi al passaggio di cicloni tropicali? L’aumento dei venti associato con questi fenomeni avrebbe dovuto infatti causare un aumento in intensità delle onde e quindi del loro “rumore” nelle segnalazioni.

E la correlazione in effetti funziona in modo sorprendentemente buono, meglio delle più rosee aspettative a detta degli stessi studiosi che avevano concepito l’idea come un semplice esercizio. Nell’immagine sottostante vi mostriamo il confronto tra i dati di intensità (in termini di vento) di 3 diversi Tifoni che hanno interessato il Pacifico nel 2012: la linea nera raccoglie i dati osservati mentre quella rossa le stime ottenute utilizzando semplicemente i dati dal rumore di fondo dei sismografi. 

Intensità ricostruita (linea rossa) utilizzando dati da sismografi ed osservata (linea nera)

Intensità ricostruita (linea rossa) utilizzando dati da sismografi ed osservata (linea nera)

L’accordo per questi 3 eventi è decisamente ottimo considerato che vengono usate stazioni a terra non concepite per questo tipo di rilevazioni.

Qual è il vantaggio rispetto ai metodi tradizionali?

I sismografi permettono di stimare l’intensità di cicloni tropicali che si stanno intensificando a centinaia di chilometri di distanza dato che le oscillazioni dei venti e delle onde vengono trasmesse come onde nel terreno: non occorrono quindi satelliti o rilevazioni dirette. Inoltre, dato che le serie temporali dei sismografi risalgono all’inizio del ventesimo secolo, esiste una possibilità concreta di estendere le serie storiche di intensità dei cicloni tropicali. Questo potrebbe aiutarci a rispondere alla domanda: sono diventati più frequenti o lo diventeranno in futuro?

Articolo di Guido Cioni del 15 Marzo 2018 alle ore 09:26

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