Supercomputer da 120 milioni di Euro in sviluppo al MetOffice, una nuova frontiera per la meteorologia Britannica

Che la meteorologia sia una scienza piuttosto giovane è cosa nota a tutti. Nonostante esistessero reti di osservazioni, in certi casi più performanti di quelle odierne, già dall’800, la scienza che conosciamo oggi, e che permette di salvare vite umane, ha avuto il vero sviluppo a partire dagli anni ’30. Nonostante le equazioni che regolavano la dinamica dei fluidi fossero già conosciute da tempo, nessuno aveva pensato che potessero essere utilizzate per predire l’evoluzione della massa d’aria atmosferica in un certo lasso di tempo. Fu Richardson, matematico e fisico Inglese, a proporre quest’idea all’inizio degli anni ’20, suggerendo di risolvere numericamente le equazioni di Navier-Stokes, un set di relazioni matematiche che non ammette una soluzione analitica.

Ma cosa significa?

In poche parole, supponendo di voler risolvere una semplice equazione come 2 x =24 (quale numero moltiplicato a 2 mi dà 24?) sappiamo che le regole matematiche ci permettono di trovare la soluzione = 12 semplicemente dividendo ambo i membri per 2. Tuttavia, esistono equazioni talmente complesse nelle quale questo semplice “isolamento” della x non è possibile. E’ proprio questo il caso delle equazioni che sottendono la dinamica atmosferica, dove la x potrebbe essere la pressione o la temperatura di un certo luogo.

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Come risolvere questo problema?

L’approccio usato in Fisica consiste nel rendere discrete le equazioni, ovvero dividere ogni pezzo, per quanto complesso che sia, in termini facilmente identificabili da intervalli discreti. Ad un’operazione del genere, che possiamo immaginare alla stregua di una semplice misurazione di un peso con una bilancia o di una distanza con un metro, è associato un certo errore, che si ripercuote sui calcoli successivi. Una volta divise le equazioni in pezzi “conosciuti” possiamo procedere aggiungendo un piccolo intervallo temporale e calcolare l’evoluzione di una certa variabile come la pressione o la temperatura. Ora immaginate di ripetere questa operazione ogni 60 secondi, fino ad arrivare a 3 giorni. Prima di annoiarvi avrete sicuramente compiuto qualche errore di calcolo!

Ecco perché arrivano in aiuto i computer, macchine prive di intelligenza ma dotate di una innata capacità nel ripetere lo stesso conto all’infinito, sempre entro i limiti della potenza complessiva. Per fare le previsioni del tempo, dunque, non servono altro che architetture complesse (dette supercomputer), formate da numerose macchine che collaborano insieme per fare queste semplici, ma noiose, somme. Ovviamente, maggiore è la potenza della macchina, minore sarà il tempo necessario per fare l’operazione, maggiore sarà la risoluzione che potremo ottenere: tutto questo non significa necessariamente che il risultato sarà di qualità migliore!

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Conscia di questo fatto, la Gran Bretagna ha appena investito 97 milioni di sterline (equivalenti a circa 120 milioni di Euro) in un nuovo supercomputer che sarà in grado di effettuare calcoli 13 volte più velocemente a risoluzioni che raggiungeranno 1.5 km. In questo modo sarà possibile raggiungere scale spaziali che permetteranno un’esplicita risoluzione di fenomeni come temporali, in cui è necessario risolvere l’intensa convezione associata alla genesi e mantenimento di questi sistemi. Un’utopia, se pensiamo ad un servizio meteorologico disastrato ed inesistente come quello Italiano, che ogni volta è bersaglio di pesanti critiche dalla stampa.

Dunque, se gli strumenti non mancano…perché in Italia non si investe?

Articolo di Guido Cioni del 29 Ottobre 2014 alle ore 15:35

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