L’acidificazione degli oceani è un meccanismo ben noto già da diverso tempo: i bacini oceanici, attraverso la respirazione di tutti i suoi abitanti, delle piante microscopiche (fitoplancton) fino ai grandi animali marini, sono cospicue fonti di anidride carbonica. Una parte degli organismi che compongono il fitoplancton scendono in acque profonde e i batteri riconvertono i loro resti in CO2. Le correnti oceaniche profonde, trasportano queste masse d’acqua cariche di particelle organiche in sospensione, fino alla superficie, una volta arrivate al pelo dell’acqua tali particelle scaricano anidride carbonica nell’atmosfera come il fumo che fuoriesce da una ciminiera.
Questo meccanismo, fino all’avvento rivoluzione industriale, funzionava in maniera più o meno costante senza grossi sbalzi di concentrazione del CO2 nella libera atmosfera. I mari infatti scaricavano anidride carbonica nell’atmosfera in quantità più o meno equivalente a quella del carbonio che ricevevano. Diverso il discorso invece per i giorni nostri: le quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera per mano dell’uomo, sono sempre maggiori e sempre più frequenti tanto che i mari ricevono dall’atmosfera più carbonio di quanto ne liberino.
L’aumento incondizionato della concentrazione di anidride carbonica fa diventare gli oceani via via sempre più acidi: tale complesso meccanismo infatti, fa perdere carbonato di calcio alle acque, effetto che a lungo andare potrebbe recare scompensi nella catena alimentare. Il carbonato di calcio è di vitale importanza per tantissimi organismi che popolano gli abissi: gli scheletri di molti animali marini e le stesse conchiglie infatti, sono costituite proprio da questa sostanza e, dati alla mano, è stato scoperto che nel Pacifico settentrionale intere popolazioni di ostriche si sono letteralmente dimezzate, forse proprio a causa dell’acidificazione delle acque.
L‘acidificazione degli oceani negli ultimi anni, è sempre più oggetto di studi da parte di numerosi centri di ricerca sparsi su tutto il globo: Baerbel Honisch del Lamont-Doherty Earth Observervatory, ha presentato i risultati acquisiti da una folta equipe di ricercatori. Dagli studi è emerso che c’è stato un periodo caldo lungo circa 5000 anni, circa 56 milioni di anni fa, noto nella storia come il periodo più simile a quello che stiamo vivendo adesso. Durante tale epoca, un’intensa attività vulcanica aveva immesso nell’atmosfera quantitativi molto elevati di anidride carbonica rendendo gli oceani più acidi rispetto alla media. Osservando il fango depositato sui fondali oceanici, i ricercatori hanno constatato l’estinzione coeva di molti coralli ed organismi unicellulari: una prova indiretta del fatto che si estinsero anche altre piante e animali di taglia maggiore che trovavano il loro cibo in quella zona della catena alimentare.
Con l’avvento della rivoluzione industriale inoltre, anche gli esseri umani hanno iniziato a “pompare” nell’atmosfera ingenti quantitativi di anidride carbonica e se il ritmo dell’inquinamento dovuto a questo gas serra resta quello di oggi, entro il 2100, si prevede un aumento dell’acidità dei mari uguale a quello occorso 5000 anni fa.
Il punto focale dello studio è individuato nel tempo di adattamento degli organismi marini rispetto a maggiori concentrazioni di anidride carbonica ovvero: se degli organismi trovarono difficile adattarsi in un ambiente totalmente mutato avendo avuto a disposizione 5000 anni, potrebbero trovare molte più difficoltà ad adattarsi in un lasso di tempo di appena 250 anni. Volendo porre un esempio provato in laboratorio, si è visto che aumentando i livelli degli acidi, appena una larva su 1000 della specie oceanica “serpentine temperate”, riesce a sopravvivere.
Altri studi inoltre hanno evidenziato che intorno al 2050 vaste aree dell’oceano australe ed artico saranno diventate talmente acide da corrodere e sciogliere le conchiglie degli organismi marini. Effetto diametralmente opposto invece, per quanto riguarda i coralli: essi infatti potrebbero essere più adattabili ad una rapida acidificazione diversamente da quanto creduto. Resta il fatto che il mondo scientifico è concorde alla tesi che drastici tagli alle emissioni di CO2, offrono ai coralli le migliori opportunità per sopravvivere.
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